Effetti del Coronavirus sulla salute emotiva dei bambini. Come sostenerli
di Natalia Gregorini
Psicoterapeuta
La vita dei bambini nell’ultimo mese è cambiata e lo ha fatto in modo brusco e del tutto inaspettato.
Le norme governative necessarie ad affrontare l’emergenza sanitaria da Coronavirus hanno stravolto la loro normale routine, lasciandoli in un tempo sospeso e non determinato, in una lunga e “strana vacanza” senza scuola, senza sport, senza cinema, senza feste, senza amici, con tanto tempo da trascorrere chiusi in casa. Questi cambiamenti, anche se come reazione immediata possono aver determinato gioia ed euforia, soprattutto in relazione alla sospensione dell’impegno scolastico, rappresentano un cambiamento importante che può suscitare nei nostri figli un senso di smarrimento, di confusione, di angoscia, paura, senso di solitudine e necessità di confrontarsi con emozioni con cui spesso hanno poca dimestichezza, come la noia.
La privazione più gravosa che i bambini soffrono in questa situazione è quella della rete relazionale che rappresenta il cibo principale della loro crescita emotiva. Non possono stare con i compagni, giocare con gli amici, fare sport con gli altri, ridere, fare confusione insieme. Non possono prendersi in giro, parlare, scherzare. Non possono guardare gli altri ed imparare da loro.
Quando poi i bambini sono figli unici questa privazione diventa ancora più gravosa da sopportare.
Centrale appare un vissuto di perdita: perdita della quotidianità conosciuta e prevedibile che tanto rasserena i bambini; perdita dei propri spazi di gioco e decompressione; perdita degli affetti (impossibilità di vedere in vivo non solo gli amici, ma anche gli insegnanti, i nonni e tutte quelle figure affettive che popolano la giornata di ogni bambino) e soprattutto perdita della capacità di prevedere cosa accadrà.
Tutto questo può impattare pesantemente sul mondo emotivo dei bambini e sul loro tono dell’umore, suscitando manifestazioni di ansia e vissuti depressivi. Questa evenienza appare più probabile in quelli che già avevano una struttura di personalità più fragile o che vivono in contesti familiari più inclini a queste manifestazioni di disagio.
I bambini, soprattutto prima dello sviluppo del pensiero astratto, non hanno una conoscenza del loro mondo interiore cosi evoluta da riuscire a riconoscere e mettere in parola eventuali vissuti di agitazione, tristezza o angoscia. Nella difficoltà di mentalizzare e verbalizzare i propri vissuti emotivi, li agiscono attraverso il comportamento o li esprimono attraverso il corpo.
La sintomatologia depressiva può manifestarsi in “forma diretta” attraverso la comparsa di apatia, mancanza di energia vitale, rifiuto di accogliere qualsiasi stimolo di interazione anche ludica che venga proposto, franca espressione di tristezza, con facile ricorso al pianto anche immotivato. Ma queste manifestazioni cosi franche sono molto meno frequenti di quelle cosi dette “mascherate”: sintomi somatici come mal di testa e soprattutto mal di pancia, facile irritabilità, lamentosità, frequenti accessi di ira e comportamenti oppositivi-provocatori possono rappresentare per molti bambini la via principale attraverso cui manifestare un sottostante vissuti d tristezza ed angoscia.
Forme mascherate di espressione di vissuti depressivi sono anche le alterazioni delle principali funzioni fisiologiche, come alterazioni del sonno o della alimentazione, tanto più frequenti quanto più il bambino è piccolo.
Partiamo dal sonno.
Il sonno, la notte, il buio, rappresentano il terreno che più rapidamente si popola di contenuti angosciosi e paurosi che magari di giorno la coscienza riesce ad allontanare dalla mente o a tenere sotto controllo con vari stratagemmi ma che non appena ci si induce ad addormentarsi e quindi ad abbandonare il rassicurante primato della coscienza per affidarsi all’ignoto dell’inconscio, vengono a volte prepotentemente alla ribalta. Questo il motivo per cui un bambino angosciato, impaurito, che magari di giorno riesce a tenere lontano dalla propria mente pensieri negativi o ansiosi, magari giocando o stando incollato e quasi ipnotizzato davanti alla tv o anche facendo i capricci e confusione, quando si ritrova nel silenzio e magari al buio, a contatto con se stesso, può sentirsi molto spaventato dal lasciare andare il controllo e perdersi nel suo mondo interiore. Farà quindi di tutto per non cedere al sonno o ricorrerà spesso alla vicinanza rassicurante con i suoi genitori, magari chiedendo di dormire con loro, regredendo ad una forma di rassicurazione ancestrale come quella del contatto fisico.
Laddove il mondo emotivo del bambino sia in tumulto, la continuità e durata del sonno saranno necessariamente messe a repentaglio come se l’Io ingaggiasse una battaglia per non abbandonarsi del tutto all’ignoto pericoloso che nella notte può emergere.
Gli incubi che possono di sovente animare le notti dei bambini in questi periodi di aumentato stress, sono segnali importanti da utilizzare, di fronte ai quali non impaurirsi. Ci danno infatti una sorta di rappresentazione dei contenuti che animano il mondo interno dei nostri figli, al di la di quello che loro vogliono farci credere magari per rassicurarci o che loro stessi nella veglia riescono a comprendere e ad esprimere. Spesso ci possono dare indicazioni utili sui loro bisogni e su come aiutarli.
Altro sintomo che si può presentare nei bambini in questo periodo di cambiamento delle loro abitudini di vita è l’alterazione dell’alimentazione.
Il rapporto con il cibo, rappresenta una metafora potente del rapporto che l’individuo ha con il mondo esterno e quindi anche con gli altri.
Bambini depressi che perdono il proprio slancio vitale manifestano spesso anche una perdita di interesse per il cibo. Inibiscono o ritraggono la naturale pulsione a conoscere e “impossessarsi psichicamente del mondo esterno e lo stesso fanno con il cibo di cui dovrebbero nutrirsi. La svogliatezza nell’apprendere, la scarsa curiosità nel conoscere e scoprire, la mancanza di curiosità verso il gioco, spesso si accompagnano ad uno scarso appetito o ad una rigida selettività verso gli alimenti (solo latte, pasta in bianco, carne bianca o pochi cibi selezionati).
Al contrario vi sono bambini, soprattutto quelli più ansiosi, che tendono ad usare il cibo come fonte di rassicurazione ovvero come attenuatore dell’angoscia o come riempitivo del vuoto emotivo che avvertono a seguito della perdita della propria rete sociale e dell’affettività che normalmente a questa si lega.
In questi casi il cibo viene ricercato in modo quasi compulsivo anche fuori dell’orario dei pasti e assunto con voracità, con una perdita temporanea della connessione con i segnali della fame e della sazietà e del gusto.
Anche comportamenti quali la facile lamentosità, l’irritabilità e l’oppositività sono spesso manifestazioni comportamentali che sottendono vissuti di tristezza e di angoscia e che hanno lo scopo implicito di richiamare l’attenzione dei genitori e attivare in loro una qualche forma di contenimento, non solo fisico ma soprattutto emotivo. Fare i capricci, litigare con i fratelli o dire no su tutto suscita sempre una risposta emotiva nei genitori e spesso li costringe ad occuparsi dei figli, magari anche solo per sgridarli o punirli o metterli a tacere. Insomma costringe il genitore a pensare al bambino, in un momento in cui la sua mente era distratta, stanca o essa stessa già satura di contenuti emotivi pesanti; viene richiamato dal comportamento del figlio ad occuparsi dell’altro, di un Altro dipendente e spaventato che da solo fatica a contenersi.
Ricordiamoci anche che per i bambini, ma anche per gli adulti, spesso è più facile accedere alla rabbia che alla tristezza o alla paura: improvvisi momenti di rabbia in cui il bambino si scaglia quasi senza ragione contro il fratello/la sorella o il genitore o inizia un capriccio acceso, o comincia a fare una gran confusione quasi nella impossibilità di stare fermo, possono facilmente essere comportamenti a cui inconsapevolmente ricorre per difendersi da momenti di tristezza o da pensieri angosciosi che hanno attraversato la sua mente e che lo atterriscono.
Allora oltre alle sgridate diventa allora davvero importante la comprensione e l’ascolto emotivo.
Ed infine veniamo all’uso dei dispositivi elettronici: video giochi, tablet e smartphone. In questa fase ci può essere un ulteriore incremento del tempo che i bambini dedicano a queste attività, non solo per rimanere connessi con i compagni, aspetto sicuramente rilevante e positivo ma anche per immergersi in realtà virtuali che in parte compensano la pesantezza e la imprevedibilità del mondo reale. Quello che il bambino ricerca è uno stordimento più o meno consapevole che attenuti il suo stato di ansia e paura, proiettandolo in un mondo di connessione che sembra inalterato dalla mancanza fisica dell’altro ed in un mondo di giochi in cui si può vincere o perdere ma le cui regole sono chiare e prevedibili. Un mondo in cui lui vincendo può ritrovare quel senso di sicurezza, potenza e controllo che nella quotidianità può aver perso.
COME SOSTENERE I BAMBINI:
FARE ma soprattutto ESSERE INSIEME: Avere tanto tempo da passare insieme, senza la possibilità di uscire di casa, porta la relazione genitori-figli su un piano di intimità e continuità a cui spesso la vita moderna, caratterizzata da ritmi frenetici saturati da attività di tutti i tipi, ci ha disabituato. Genitori e bambini si ritrovano all’improvviso a confrontarsi con un tempo dilatato e rallentato, da vivere e condividere. L’opportunità è grande: passare dal FARE cose insieme all’ESSERE insieme. Aprirsi ad un’intimità che richiede tempo e che spesso si spegne o comunque si indebolisce nella fretta quotidiana.
ESSERE INSIEME si può ottenere in tanti modi: parlare del più e del meno, cercando il più possibile di incuriosirci del mondo dei nostri figli, ascoltando i loro racconti ed il loro pensieri, senza anticiparli o saturarli, per la fretta. Ritrovare un tempo che permetta al dialogo di essere vera comunicazione.
Coinvolgere i figli nelle mansioni domestiche, nella cucina o nelle pulizie: farli entrare nel mondo dei grandi attraverso queste piccole mansioni quotidiane li responsabilizza, li fa sentire utili (cosa molto importante per l’autostima), li avvicina e li rende più collaborativi.
Aiutarli nei compiti è importante e, in questo periodo di scuola a distanza, spesso necessario, ma facciamolo stimolando la loro autonomia e rinforzandola, assicurando una “presenza al bisogno” più che un aiuto saturante, che inevitabilmente finisce per far sentire loro il peso della stanchezza di mamma e papà nel dover stare tutto il giorno dietro ai loro compiti.
E poi, importantissimo, giocare insieme. Alcuni adulti fanno fatica a giocare con i figli, si annoiano subito o “non sanno come fare”, come se avessero perso il contatto con il loro bambino interno, il ricordo del loro gioco infantile o non avessero mai sperimentato pienamente quella dimensione ludica nella loro infanzia e quindi ora faticassero ad utilizzarla per creare un’area di condivisione con i figli. Ecco a questi adulti io dico: provateci! Lasciatevi andare e condurre dai vostri figli. Scoprirete che nel gioco c’è la salvezza della mente perché il gioco permette di spostare l’attenzione su aspetti più leggeri, permette di acuire la capacità di inventare soluzioni e strategie per risolvere i problemi ma soprattutto permette di fantasticare e immaginare, mezzi potentissimi per evadere dalla gabbia, non solo fisica ma soprattutto emotiva, in cui la quarantena ci ha rinchiusi. Lasciamoci andare ad inventare giochi, facciamoci guidare dai nostri figli nell’usare i loro ma anche guidiamoli a riscoprire quelli “vecchi” (Monopoli, Risiko, battaglia navale) i cosi detti “giochi di società” ovvero giochi che mettono insieme e fanno relazione. Quelli che tengono intorno ad un tavolo per ore, che fanno arrabbiare, divertire, scervellare, competere. Insomma sentire emozioni.
Importante e utile anche disegnare e pitturare, non solo per permettere ai bambini di dare forma e rappresentazione ai loro contenuti interni, magari angosciosi e paurosi, ma anche per portare la mente dell’adulto, prepotentemente ancorata alla razionalità e al controllo, a riscoprire i terreni della creatività. E poi la lettura: le fiabe classiche aiutano i bambini a rapportarsi con le difficoltà della realtà, con i buoni ed i cattivi, accompagnandoli in avventure paurose e a confrontarsi con personaggi terrifici ma anche e soprattutto a vivere poi il lieto fine, la risoluzione del problema, la vittoria dei buoni. Ascoltare tutto questo porta la mente dei bambini a immaginare che sia possibile affrontare e superare anche questa realtà, pur cosi terribile e nuova.
Ma anche leggere racconti o romanzi aiuta la mente a staccarsi da una realtà spesso triste o paurosa per accedere a infiniti mondi diversi. Leggere insegna la libertà.
Credo che l’elemento che può far capire se è entrati o meno nel campo “dell’essere insieme” è il divertimento ed il piacere che si prova e che si può osservare nelle facce dei bambini.
In momenti di come questo in cui gli scambi sociali sono del tutto o quasi inibiti la famiglia rimane unico tessuto sociale e deve poter fornire al bambino quel nutrimento affettivo che normalmente lui prende anche dal mondo esterno: scambiarsi emozioni è il canale principale dell’essere insieme. Quindi equivale a creare tessuto relazionale.
ASCOLTO e COMUNICAZIONE Ai genitori spetta come primo e fondamentale compito quello di svolgere la delicata funzione di accogliere e contenere le loro emozioni, elaborando risposte che possano attenuare le loro ansie e infondere in loro la fiducia che tutto questa complicata situazione si risolverà per il meglio.
A questo scopo quando un bambino dice “ho paura” o “sono preoccupato” spesso i genitori reagiscono con fare immediato dicendo frasi del tipo: “Ma stai tranquillo! Non c’è nulla di cui preoccuparsi! Ma che stai dicendo va tutto bene!” Facili rassicurazioni che servono più all’adulto per mettere a tacere le emozioni che le espressioni del figlio suscitano in lui ma che spesso sortiscono nel bambino l’effetto opposto ovvero quello di sentire che esiste qualcosa di cui non si può parlare, che avere paura non è legittimato e permesso e cosi magari il bambino si zittisce ma nel suo cuore permane la paura o l’angoscia, in una dimensione di non dicibilità che la rende ancora più gravosa da tenere.
Allora diventa davvero importante ASCOLTARE e FAR PARLARE i bambini soprattutto quando spontaneamente e non incalzati dalle nostre domande, esprimono ansie o paure.
All’ascolto attento e silenzioso deve poter seguire il riconoscimento e rispetto delle loro emozioni con frasi del tipo: capisco che sei spaventato! Certo è una situazione difficile che può far paura o creare preoccupazione!” Questo permette al bambino di sentirsi riconosciuto e legittimato nel suo sentire, con la importantissima conseguenza di non sentirsi solo.
A volte questo già comporta una significativa attenuazione dell’ansia.
Altro passaggio importante è quello di spiegare ai bambini con chiarezza quello che sta accadendo, senza mistificazioni o eccessive omissioni perchè i bambini per orientarsi hanno bisogno di chiarezza, di punti fermi che permettano di comprendere e dare senso ai cambiamenti di vita che vengono loro imposti. La discrepanza tra quello che i genitori possono dire o voler far credere ai propri figli (“Andrà tutto bene, non c’è nulla di che preoccuparsi”) e quello che poi agiscono o comunicano attraverso i comportamenti o anche semplicemente le espressioni facciali (espressioni tese e preoccupate, tristi o angosciate; telefonate agitate, mezze frasi dette tra adulti che lasciano trapelare preoccupazione e ansia; stare tutto il giorno attaccati ai TG), possono generare nei figli messaggi incongrui e ambigui che accentuano l’angoscia ed il senso di disorientamento. E’ bene ricordare che tutto quello che i bambini non padroneggiano con la ragione diventa cibo per la loro immaginazione e fantasia, esitando in scenari spesso ancora più terrifici e angoscianti di quelli reali.
Oltre all’ascolto, al riconoscimento e alla spiegazione è davvero importante dare ai bambini la certezza che alla fine “i buoni vinceranno” ovvero che, nonostante tutto, ci sono tante persone, politici, scienziati, medici che stanno lavorando per risolvere questa situazione e, con l’aiuto di tutti noi uniti, alla fine ce la faranno. Avere fiducia in un esito positivo è davvero importante per la mente infantile che può tollerare l’orribile ed il mostruoso solo grazie alla speranza o certezza che alla fine arriverà un mago, un principe, un supereroe, ovvero un elemento salvifico a decretare il lieto fine, come in gran parte delle fiabe che accompagnano la mente infantile nella sua crescita. Nella realtà questo elemento salvifico può essere incarnato dai medici che curano, dagli scienziati che cercano il vaccino, dai politici che prendono le decisioni più utili e dall’unione di tutti i cittadini, dalla comunità.
ACCOGLIERE E CONTENERE: Come abbiamo visto in precedenza in momenti di particolare stress emotivo e di angoscia il bambino può avere delle regressioni che lo aiutano a riprendere fiducia attestandosi su posizioni evolutive a lui già note e sperimentate. In genere queste regressioni sono temporanee e permettono poi al bambino di acquisire la fiducia necessaria per riprendere il suo percorso evolutivo. Un pò come fare un passo indietro per prendere la rincorsa e poi fare un salto in avanti. Tornare e bagnare il letto di notte in bambini che da tempo non lo facevano più, o richiedere il ciuccio, o iniziare a balbettare, o, per i più grandi, chiedere di dormire con i genitori, ridurre notevolmente l’apporto alimentare e magari tornare a prendere soprattutto latte o cibi “bianchi” come pasta in bianco o carne in padella, ecc, sono solo alcune forme di regressione che possono manifestarsi in questo momento di crisi. E’ importante accogliere questi comportamenti come espressione non solo di uno stato di ansia e preoccupazione del bambino, che magari non si esprime a parole o in modo cosi franco nel suo comportamento, ma anche di una sua richiesta di aiuto e di vicinanza. Lasciando da parte rigidità e punizioni o frasi del tipo: “Ma come si tornato piccolo? Ma non ti vergogni di aver fatto la pipi a letto? Ora basta, mangia e zitto!” appare importante rimandare al bambino che si capisce che sta attraversando un momento difficile e accogliere il suo comportamento senza preoccuparsi eccessivamente che questo rimanga tale nel tempo ma appunto osservandolo cm un fenomeno transitorio e funzionale alla economia psichica del bambino. Quando il genitore è sereno e accogliente su questi punti in genere poi il bambino dopo un tempo ragionevole (al massimo un mese o due) tende a ridurre il comportamento sintomatologico. Qualora questo persista o lo stato d’ansia del bambino è cosi elevato da sopraffare le sue capacità di controllo o alla sua ansia fa eco quella delle figure di riferimento e quindi il piccolo non trova contenimento ma amplificazione al suo stato emotivo nella reazione dei genitori.
Spendo due parole in piu per il cibo: quando l’ansia o la tristezza portano il bambino a mangiare troppo e in modo disordinato e vorace è importante fermarlo e provare a rispecchiarlo sul vissuto emotivo che secondo noi sta alla base della sua ricerca di cibo.
Quando per esempio ci si accorge che nostro figlio sta mangiando non perché affamato ma perché annoiato è importante fermarlo, rimandargli che lo si vede annoiato ed aiutarlo a trovare un modo diverso di gestire quella emozione, magari facendo qualcosa insieme. I bambini non nascono già edotti circa il proprio mondo emotivo. Quando un bambino piccolo è arrabbiato sente che gli batte forte il cuore, che diventa rosso, che gli viene da urlare o dare un pugno ma non sa che quell’insieme di sensazioni fisiche ha il nome di rabbia e non sa che oltre ad urlare o dare pugni può anche provare a riconoscerla, a nominarla, semmai a condividerla e a farne un uso diverso, nella relazione. Impara tutto questo dalla relazionale con l’adulto che, con le sue risposte e con le sue azioni, gradualmente lo accompagna in quella che si configura come una sorta di “alfabetizzazione emotiva”. Ecco che anche un bambino di 6-7 o 10 anni può non rendersi conto che sta mangiando perché arrabbiato o annoiato o angosciato. Va aiutato a riconoscere questa emozione, a nominarla, magari a condividerla e a trovare modi diversi di gestirla. Questo accade grazie ai genitori o ad un adulto che fornisca al bambino strumenti di lettura di sè stesso che poi diventeranno interni.
ORGANIZZARE IL TEMPO: il tempo e la sua scansione aiutano la mente ad orientarsi nel mondo, le permettono di avere la sensazione di prevederlo e controllarlo. La scuola, le attività sportive, i programmi in Tv, aiutano i bambini ad organizzare il loro senso del tempo, a rendere la loro giornata prevedibile e quindi rassicurante. Quando un cambiamento cosi profondo della routine quotidiana scardina queste abitudini, Il bambino può sentirsi smarrito, sospeso in un tempo che perde i suoi principali riferimenti, che lo lascia in balia di se stesso e non di quello che a quell’ora si deve fare. Questo può dare un senso di rilassamento se avviene per una o due giornate, come durante il fine settimana, o in un tempo predefinito come quello delle vacanze, diventa invece motivo di smarrimento e a volte angoscia laddove sia un tempo sospeso sprovvisto di una fine certa.
Per questo motivo è molto importante dare a questo “strano tempo della quarantena” un suo ordine, una sua cadenza che permetta al bambino di ritrovare abitudini e punti di riferimento, di sentirsi nuovamente in grado di prevedere, almeno in parte, le sue giornate. Questo vale anche e soprattutto per gli adolescenti che se da una parte si mostrano refrattari alle regole e limiti, anche temporali, dall’altra ne hanno un assoluto bisogno.
Quindi va bene dormire di più ma non ad oltranza, cosa che poi porta a sballare gli orari dei pasti per es. Stabilire un tempo piu o meno fisso per i compiti, quello destinato all’uso di smartphone, i pad e videogiochi, e quello che invece si può dedicare al movimento (attività fondamentale non solo per restare in forma ma anche e soprattutto per l’influenza positiva che ha sul tono dell’umore attraverso la produzione di endorfine). Importante stabilire dei “tempi comuni” in cui la famiglia si riunisce per fare delle cose insieme, per es. mangiare o vedere un film o fare attività fisica. Sono momenti non solo strutturanti il senso del tempo ma anche rafforzanti il senso di appartenenza al gruppo e quindi lenitivi del senso di solitudine derivante dalla mancanza di altri contatti sociali.
Aiutare i figli a scandire il loro tempo passa anche per l’attenzione e la cura dell’igiene e della persona. Trascurare l’igiene personale, rimanere tutto il giorno in pigiama a lungo andare incide sulla propria autostima, nonché sull’immagine che si rimanda all’altro mentre lavarsi e curare il proprio aspetto fisico è un modo per rimandare al figlio un messaggio di amore verso la propria persona che lui imparerà a ripetere.
DISPOSITIVI ELETTRONICI: Tanto bistrattati nemici dei genitori che spesso si trovano nella difficoltà di gestirne l’uso da parte dei figli sin da tenere età, in queste fasi di isolamento forzato diventano un’incredibile risorsa di connessione e comunicazione.
Lasciamo che durante la giornata ci sia un tempo, non infinito, destinato a loro uso e che permetta ai nostri figli di sentirsi connessi con i compagni e con il mondo esterno, al fine di creare una sensazione di comunanza e appartenenza che l’isolamento a casa può facilmente indebolire.
Favorite le vide chiamate che aiutano a presentificare l’altro veicolando una dimensione emotiva che spesso la chat o la normale chiamata attutisce. Concediamo ai ragazzi più spazio per i giochi in connessione, un surrogato ai giochi di gruppo che rendono la competizione più viva ed il senso di solitudine meno presente.
Mostriamoci curiosi dell’uso che i nostri figli fanno di questi dispositivi: a seconda delle loro età chiediamoli di giocare insieme ad un video gioco per capire cosa li attira tanto e per creare un terreno di incontro e condivisione di immediato impatto per loro. Proviamo a fare un tik-tok con gli adolescenti: ci scopriremo a ridere insieme mentre lo riguardiamo, assumendo una prospettiva diversa da quella unica di giudizio con cui spesso commentiamo le strane mosse che i nostri ragazzi fanno fissando lo schermo del cellulare. Insomma proviamo a rendere anche i dispositivi elettronici terreno di incontro anziché mezzo di isolamento.
Questa situazione di chiusura forzata è un cambiamento di portata enorme per le nostre abitudini di vita ed impone alla nostra psiche uno sforzo di adattamento notevole e gravoso ma può diventare una preziosa occasione per aprirci ad un contatto davvero intimo con i nostri cari e con noi stessi. Fatene buon uso!