Non voglio uscire ! La sindrome della capanna

di Natalia Gregorini

Il Lockdown non è finito per tutti. Ci sono moltissime persone e tantissimi bambini che, pur potendo uscire di casa , non vogliono farlo. Hanno paura. 
Ricevo tante telefonate e richieste di consultazione da parte di genitori che non sanno come convincere i propri figli a fare una passeggiata, ad andare al parco o addirittura a vedere degli amici. “Sono stanco”, “Non  ne ho voglia”, “Non mi va”, “Preferisco stare a casa”, sono le motivazioni che adducono i bambini , motivazioni che lasciano trapelare un senso di apatia, mancanza di motivazione ma soprattutto tristezza ed ansia all’idea di affrontare l’esterno. 
Rimanere per più di due mesi chiusi dentro casa , potendo avere relazioni “normali” solamente con i propri genitori e fratelli, interdetti dalla frequentazione anche dei propri nonni o amici più stretti, immaginare un mondo esterno contaminato e seriamente minacciato da un virus invisibile e letale, ha creato nella mente dei bambini uno scenario terribile che ora fatica ad essere trasformato. Rimangono pertanto ancorati alla sicurezza che hanno sperimentato dentro casa, come unico luogo protetto in cui poter continuare a vivere. 
La quarantena ha determinato una sorta di “regressione psichica” in cui il bambino è tornato, a prescindere dalla sua età anagrafica, a quella fase primaria della vita psichica in cui provava  sicurezza solamente in presenza delle proprie figure di attaccamento;  la casa è diventata la rappresentazione dello spazio ancestrale della pancia della mamma che sola può garantire e proteggere la vita . 
Tutto ciò che è esterno in questi mesi ha assunto per i bambini una veste minacciosa. Tutto ciò che entra in casa deve essere sterilizzato, liberato dal contagio che si annida nel mondo . 
Un’immagine forte e terrificante alimentata ogni giorno da una comunicazione a tappeto dei media, incentrata sul pericolo, sulla morte e sulla perdita e che ancora oggi non ci legittima a poter gioire di una buona notizia perché appena data subito si sentono frasi del tipo: “Ma bisogna essere cauti, non bisogna abbassare la guardia , non è finita! “
Tutto questo fa si che la mente dei bambini si senta minacciata da una guerra invisibile e letale, da cui ci si può difendere solo rimanendo a casa e rinunciando alle pulsioni di vita, di relazione e di gioco che solitamente li alimentano e li rendono “vitali” . Un po’ come gli animali che per difesa si immobilizzano . I bambini si spengono . Diventano apatici , stanchi, pigri, svogliati, lamentosi , isolati, tristi. 
“La sindrome della capanna” così viene chiamato l’insieme di questi stati emotivi, così frequenti oggi nei bambini e anche in alcuni adolescenti . 
Compito dei genitori e’ quello di accompagnare i figli ad affacciarsi nuovamente al mondo esterno e soprattutto a sperimentarlo nuovamente come luogo di cui potersi nutrire. Acquisire la fiducia nell’altro che hanno necessariamente perso , vivendolo come un potenziale untore , un po’ come facevano naturalmente all’età di otto mesi quando cominciando a percepire l’esistenza del mondo esterno vivevano tutte le persone che non erano mamma e papà come estranei di cui avere paura.
Molti bambini, soprattutto quelli che nella propria storia hanno avuto difficoltà a conquistare un saldo senso di autonomia anche in assenza di propri genitori e ad adattarsi ai contesti esterni alla casa (scuola, sport, ecc) con fiducia, in questo momento possono fare più fatica ad uscire da questo stato di regressione e quindi a riaprirsi al mondo esterno. A volte questa difficoltà viene implicitamente rinforzata dai timori o dalle angosce dei genitori anche essi restii a far uscire i propri figli,  in altri casi sono proprio i bambini ad avere bisogno di tempo per affacciarsi al mondo esterno. 
Non vanno forzati ma accompagnati a fare piccole esperienze di quello che c’è fuori, partendo da ciò che a loro può piacere di più e preferibilmente in presenza di coetanei, degli amici più stretti . Il rapporto di amicizia può essere l’effetto più trainante per permettere ai bambini di uscire da questo stato di ansia sperimentando il piacere legato all’incontrare l’altro nel mondo: giocare con un amico in un parco può essere un ottimo modo di riappropriarsi della bellezza del vivere, superando le paure.
È importante accogliere le loro preoccupazioni e paure senza spronarli con frasi che negano o minimizzano il problema ( “ma non c’è nulla di cui avere paura , dai sei diventato un pigro, non ti va mai di fare niente” ) che invece di aiutarli li farebbero sentire giudicati e derisi , con l’effetto di aumentare ancora di più la loro chiusura . Meglio riconoscere la legittimità dei loro stati d’animo e garantire la vostra presenza nell’accomosgnarli ad affrontarli. Ricordatevi di quando erano piccoli e li accompagnavate per la prima volta a scuola o in un luogo nuovo. Ricordatevi di come li avete accompagnati per mano  e poi stimolati ad incontrare il nuovo facendoglielo vivere non come minaccioso ma ricco di esperienze da vivere . Ecco l’atteggiamento con cui accompagnare i bambini ad uscire da questa quarantena , ovvero da questa regressione , dovrebbe essere guidato da questa immagine ed avere la stessa attenzione e gradualità .